(Pubblicato su facebook 10/01/2024)
La casa gialla
Tu sei la casa gialla in fondo alla via poco prima della piazza che hanno chiuso almeno tre anni fa per lavori, hanno scavato sotto il prato per fare parcheggi per trenta o quaranta persone e hanno trovato i bagni pubblici della prima guerra mondiale o giù di lì, e l’urina della prima guerra mondiale o qualche altro dettaglio ha bloccato i lavori per un sacco di tempo, mentre tutto intorno agli scavi cresceva una vegetazione folta e lussureggiante come quella di Rousseau il Doganiere, e d’inverno un Calycanthus benedetto spandeva un profumo indescrivibile all’angolo della piazza dove sfrecciano le automobili che incastrano i loro ritmi con una sequela di semafori improbabili e non si riesce ad attraversare quasi mai.
Tu sei la casa gialla nella quale abitavano bambini che andavano alle elementari mezzo secolo fa e l’intonaco esterno era giallo ma sbiadito, un po’ più naturale, un po’ più umano.
Io non ho mai fatto il mio ingresso nella casa gialla, l’ho vista solo dal di fuori, mentre inghiottiva i miei compagni di scuola al termine della schiavitù quotidiana nell’edificio scolastico.
Tu sei la casa gialla e mi piacerebbe dialogare con te, ma invece taci ogni volta che passo, l’unica cosa che mi fai notare è il giallo del tuo intonaco nuovo, un giallo pieno come il VOV, e la muraglia di assi di legno che l’Amministrazione ha fatto inchiodare affinché gli atleti illegali non entrassero nelle tue stanze non finite, abbandonate dall’impresa edile anni e anni fa chissà per quale ragione, e poi saltassero giù dai balconi sul marciapiede con un’agilità rara.
Tu sei la casa gialla che viene tenuta così, con l’erba altissima che cresce davanti e gli immensi fiori di San Giuseppe, e delle paratie di metallo il più alte possibile, e sull’altro lato il muro di legno compensato, tutto liscio e altissimo, ogni foro o appiglio ben chiuso e lisciato con lo stucco, e le stanze un tempo nuove adesso solo disabitate, o mal abitate, secondo le regole, tanto che devono rimanere rigorosamente vuote, né usate né distrutte, né aperte né completamente chiuse (hanno lasciato schiusa una finestra su in cima), né nuove né vecchie, né utili né disutili: semplicemente in regola con il fatto di essere dentro le regole benché prive di utilizzo, come chi esiste ma non esiste, c’è ma non partecipa, occupa spazio ma non conta.
Tu sei la casa gialla in fondo alla via poco prima della piazza nella città. Non mi parli, non dialoghi, ma io talvolta ho visto volteggiare acrobati sopra i tuoi tetti, sgarrare i cancelli aprire varchi anticipare il sole spiegazzare mattini e poi qualcuno, ridendo, andava a lavarsi sotto le ascelle nella fontana di fronte, quando c’era l’acqua, e il paesaggio respirava abbandoni possibili, frammenti, alternative, risposte, perfino un qualche dialogo, rigorosamente senza parole.