bovino blu il cobalto del desiderio sempre insoddisfatto scrivo in macchina con i piedi sul cruscotto eravamo eroi ne potevamo fare a meno tutti i tavoli coperti da tovaglie di plastica e sopra ci splendevano luci notturne che erano luci diurne ma la luce era troppa e buiva
ma adesso è il cielo guarda il cielo il bluissimo cielo il blu senza velature il blu lavato purificato approfondito cupissimo di desiderio eterno un blu che sprofonda città blu inorganico che divora la tua inessenza mutevole – trattieni il respiro – blu infinito blu acqua blu che ti sbrana il cervello blu che capovolge tutte cose il blu che ti toglie il fiato – corri corri! – il blu che vorresti bere (dillo!) fino a dissetarti di vita e di universo (hai solo queste parole, non possiedi nient’altro di tutto quello che vedi, ci sei) ma non è possibile, devi solo rimanere qui a fissare questo blu insondabile e a chiederti che cosa fare, oggi. Oggi non c’è, la tua insofferenza c’è, eccola, hai il cuore che ti batte tamburi della memoria, hai ascoltato di nuovo vecchie malefiche nenie, ecco che non hai più pace.
questo blu mi svuota – deferenza d’alga passione di coriandoli vita festa vita lesta vita amore di blu
questo blu mi spinge a uscire il richiamo del blu come esiste il richiamo della foresta
mettiti a correre spianavamo stellate poi appariva e correvamo ancora i tralci e la vite erano affossati in questo grande buco blu questa bocca silenziosa granito blu marmo blu osso blu che tutto blocca immobilizza una pietra blu lontana e giusta e intoccabile nostalgia senza più senso
questo blu è un ansito
io senza fiato
spengo la radio
Stéphane Mallarmé
Del sempiterno azzurro la serena ironia
Perséguita, indolente e bella come i fiori,
Il poeta impotente di genio e di follia
Attraverso un deserto sterile di Dolori.
Fuggendo, gli occhi chiusi, io lo sento che scruta
Intensamente, come un rimorso atterrante,
L’anima vuota. Dove fuggire? E quale cupa
Notte gettare a brani sul suo spregio straziante?
Nebbie, salite! Ceneri e monotoni veli
Versate, ad annegare questi autunni fangosi,
Lunghi cenci di bruma per i lividi cieli
Ed alzate soffitti immensi e silenziosi!
E tu, esci dai morti stagni letei e porta
Con te la verde melma e i pallidi canneti,
Caro Tedio, per chiudere con una mano accorta
I grandi buchi azzurri degli uccelli crudeli.
Ed ancora! che senza sosta i tristi camini
Fùmino, e di caligine una prigione errante
Estingua nell’orrore dei suoi neri confini
Il sole ormai morente giallastro all’orizzonte!
– Il cielo è morto. – A te, materia, accorro! dammi
L’oblio dell’Ideale crudele e del Peccato:
Questo martire viene a divider lo strame
Dove il gregge degli uomini felice è coricato.
Io voglio, poiché infine il mio cervello, vuoto
Come il vaso d’unguento gettato lungo un muro,
Più non sa agghindare il pensiero stentato,
Lugubre sbadigliare verso un trapasso oscuro…
Invano! Ecco trionfa l’Azzurro nella gloria
Delle campane. Anima, ecco, voce diventa
Per più farci paura con malvagia vittoria,
Ed esce azzurro angelus dal metallo vivente!
Si espande tra la nebbia, antico ed attraversa
La tua agonia nativa, come un gladio sicuro:
Dove andare, in rivolta inutile e perversa?
Mia ossessione. Azzurro! Azzurro! Azzurro! Azzurro!