Finiamo di mangiare e poi andiamo a fare una passeggiata, la notte è così piena di sé, così gonfia di stelle e di vento, che è proprio necessario uscire e possibilmente smarrirsi.
Era una donna smarrita.
Ritornava per lavorare, diceva.
Ritornava per ritrovarsi, pensava.
Chissà perché pensiamo di esserci smarriti da qualche parte, o meglio, di esserci sgretolati perdendo cementaglia, pezzi di stucco, schegge di mattonelle e, ritornando, che potremmo ancora trovare quei frammenti di noi, della stanza che fummo, della casa di cui ricordiamo nei sogni i corridoi, le finestre, gli angoli, ed eravamo noi. Ma non siamo noi. Non ci ritroviamo. È tutta paccottiglia, specchietti per le allodole, chincaglieria per i selvaggi che siamo. Scappiamo. Nuovo giro di boa, ed ecco un’altra persona, cioè maschera, che ci saluta. E noi, lontani, sgarbati, non salutiamo neppure, senza di noi in tasca né in valigia, salvi nel non esserci trovati.