“La giustizia era resa dallo stesso re innanzi alla porta del suo palazzo: di giudici subordinati, di norme legali o consuetudinarie di diritto, non v’è memoria. Non vi era alcun sistema tributario, essendo sole entrate dello stato le forti somme estorte all’Impero romano. Nonostante l’esagerazione che si può riscontrare nelle descrizioni che Ammiano Marcellino e, ricopiandolo, Giordanes fanno di queste “bipedes bestiae” e dei loro rozzi costumi, è certo che la condizione degli Unni, anche quando Prisco, nel 448, accompagnò alla corte di Attila gli ambasciatori bizantini, era sempre assai primitiva. La capitale, in un luogo a noi ignoto della pianura ungherese, era nulla più che un grande villaggio. Tutte le case e lo stesso palazzo del re erano di legno, anche se, negli edifici più ricchi, ben lavorato. Le donne avevano loro appartamenti e loro case e potevano ricevere ospiti e dare conviti: era però in uso largamente la poligamia.
Ammiano afferma che gli Unni non erano legati da alcun vincolo di religione: sappiamo da Prisco che era considerata come feticcio una spada, che era stata perduta e ritrovata poi al tempo di Attila, come presagio del suo dominio sul mondo. Non v’è traccia presso di loro di cultura, se non nei canti, che si intonavano durante i banchetti, in onore del re: dell’arte non v’è alcun ricordo o monumento. Attitudini particolari, fuor che per la guerra, gli Unni mostrarono soltanto per il commercio: quelli di loro, che s’erano spinti nelle regioni del Caspio e dell’Aral, annodarono e tennero lungamente relazioni per mezzo di carovane con gli Hiung-nu della Mongolia e con la Cina; gli Hûnas stabilirono rapporti fra l’Asia centrale e la Persia e l’India; e Attila nei trattati con l’Impero romano d’Oriente volle che vi fossero oltre al Danubio, mercati ai quali potessero convenire con uguaglianza di condizioni Romani e Unni. È troppo poco tuttavia per aggiungere alla loro fama antica e meritata di distruggitori quella non meritata di costruttori di stati.”