Piantava alberi nel sole sopra le colline con le mani sporche di terra e di gioia. Si ricordò solo molto tempo dopo di quelle risate in mezzo all’erba alta, altissima, fosforescente al buio. Sollevava piume come fossero rocce, per gioco, per magia. Aveva una speciale connessione con i raggi del sole che stiracchiavano i gatti sulle ciglia, quando il giorno iniziava a trionfare. Aveva musica da qualche parte in tasca. Le strade erano troppe, un filo reggeva la luna, le prmetteva di dondolare piano al primo soffio. Talvolta spaccava tutto. Urlava, strappava i fili con appesi luna, stelle, sole. Lanciava oggetti contro le tende della notte. Ficcava silenzi dentro i quaderni, li squadernava subito dopo. Baci sulla schiena dimenticati, poi ricordati e grattati via con una forchetta. Ritornava per prendere: acqua di cristallo, acqua che cade, acqua che sale, acqua nei tuffi, acqua nella stasi. Non domandava. Non sapeva. Non comprendeva. Aveva sbagliato strada, aveva sbagliato tutto. Prendeva gli errori e cercava di farci qualcosa, qualunque cosa. Non voleva buttare via niente. Voleva buttare via tutto. Si inselvatichiva. Si allontanava.
Un punto di partenza per partire subito, dove poi si sarebbe andati non aveva importanza, ma la partenza era bella immediata, senza doverci più pensare, senza doverla più progettare, istantanea come una cosa comprata al supermercato che ti dà subito quello che vuoi.